NEWS MILAN – Cambiando l’ordine degli addendi, il risultato purtroppo non cambia. Però quasi peggiora. Perché sabato pomeriggio a San Siro, per assurdo, e malgrado quel 4-3-3 che sembrerebbe tanto preferire, si è visto probabilmente il peggior Gonzalo Higuaín di quest’era milanista.
Un risultato inaspettato: impalpabile, spento e tremendamente incline allo scoraggiamento. Così salgono addirittura a 8 le partite senza goal in Serie A, un nuovo record negativo in quello che è indubbiamente il periodo più delicato della sua carriera. Non per uno o più risultati specifici, anche perché nulla potrebbe mai superare quelle ferite ancora sanguinanti con la sua Argentina, ma per un periodo prolungato di inadeguatezza e frustrazione. Mai così male in vita sua, e non è solo una questione di goal. Un digiuno simile, del resto, avvenne anche a Napoli nella stagione 2014/15, dove riuscì a sbloccarsi solo all’8a giornata. All’epoca, nonostante la difficoltà, era comunque funzionale al gioco di Rafa Benitez: attivo, presente ed elemento tuttavia imprescindibile nella coralità del gioco. Adesso, invece, è un fantasma in tutto e per tutto: non incide sotto porta, né illumina i compagni. Una nota fuori dal coro in uno spartito già di base stonato.
Dov’è l’Higuaín di inizio stagione?
Inammissibile. Né per i 18 milioni di euro di prestito investiti in estate, a cui dovrebbero aggiungersene altri 36 in estate, né per la smisurata e indubbia qualità del giocatore. C’è una frase di inizio stagione, pronunciata da ogni singolo tifoso del Diavolo, che rende l’idea di quanto l’argentino avesse fatto breccia nel cuore dei tifosi: “Un attaccante così non si vedeva da anni da queste parti”. E come dare torto ai tanti sofferenti. Ma è stata soprattutto una caratteristica tutt’oggi rara in tutto il mondo ad attirare particolarmente l’attenzione: la capacità di essere 9 e quasi un 10 quasi contemporaneamente. Bomber innanzitutto, ma poi anche preziosissimo rifinitore grazie a una strepitosa visione di gioco e una tecnica sopraffina. Verticalizzazioni, tagli e passaggi vincenti per i tanti compagni che ha mandato in rete all’avvio di campionato. Poi, all’improvviso, si è spenta la luce.
Higuaín, un campione mai stato leader
Cosa è successo davvero? Una premessa prima di tutto è d’obbligo: Higuaínè uno strepitoso leader tecnico, ma non carismatico. Non lo è mai stato. Preferisce far parlare il suo destro e il suo istinto da killer, ma non si è mai distinto come trascinatore in senso assoluto. Non è un uomo spogliatoio, profilo saggio e coinvolgente stile Pepe Reina. E’ silenzioso, introverso, e tendenzialmente volubile rispetto ai fatti che accadono attorno al suo mondo. Non c’è nulla di male, per carità, ma va detto. Così come va sottolineato che, tendenzialmente, ama essere una prima donna in un galà comunque di altissimo livello. Vorrebbe la perfezione o quasi attorno a lui, un livello altissimo. E probabilmente alla lunga, soprattutto con l’avvio dell’ecatombe, avrà avvertito il contraccolpo rispetto all’armonia organizzativa di Maurizio Sarri in azzurro o lo strapotere tecnico bianconero. Il Milan, a oggi, è un altro livello rispetto e se n’è reso conto. Qui è costretto a essere più operaio, chiamato anche a un impegno mentale maggiore scendendo da piedistallo su cui è comodo da anni. Difficile, maledettamente complicato, per un tipo molto irascibile e severo con tutti, in primis con se stesso. Immaginava di certo un livello di partenza inferiore rispetto alle ultime esperienza, ma probabilmente non proprio così giù. Quando l’ha capito davvero, ecco che subentra la frustrazione. Letale, tra l’altro, per un carattere auto corrosivo come il suo.
Higuaín, c’è anche il problema assist-man
Parallelamente al lato psicologico, dove sempre è stato vulnerabile e da gestire, c’è poi chiaramente anche una sfaccettatura tecnica che riguarda il campo e l’intera squadra. Perché le assenze e le geometrie di Lucas Biglia, o gli inserimenti e il supporto a ridosso dell’area di Giacomo Bonaventura, non sono certamente mancanze da sottovalutare. I due gravi infortuni invece hanno cambiato totalmente il volto del centrocampo: da una zona propositiva e tecnica di inizio stagione, a una mediana tutta cuore e muscoli con Frank Kessié e Tiémoué Bakayoko ma certamente con scarsi risultati ai fini del fraseggio. Così come il nativo di Brest avrebbe apprezzato particolarmente le scorribande di Andrea Conti sulla fascia, puntuale lì sulla destra a sfornare palloni a volontà. Perché il problema, appunto, è anche questo: sono venuti meno gli assist-man. Hakah Calhanoglu questa stagione non c’è mai stato, Suso è calato improvvisamente e Samuel Castillejo non ha mai inciso davvero. Con Patrick Cutrone è una sorta di odio e amore calcisticamente parlando: talvolta si trovano, altre meno e si pestano i piedi. E anche Gattuso, inevitabilmente, ha qualche responsabilità sul mancato exploit. Ma le colpe restano principalmente e maggiormente di un campione di tale livello incartatosi su se stesso e venuto meno nelle tappe principali di questo percorso. Ma è tutto lì, pronto e bollente. Questione di testa e nulla più. Basta una scintilla, un guizzo, e San Siro rivedrà quel Cerbero di cui si era tanto e innamorato. Frosinone e SPAL vittima sacrificale perfette, dovrà solo liberarsi mentalmente. Poi anno nuovo e vecchie abitudini. La pipita d’oro del Milan è sempre lì.
Pasquale Cacciola – Redazione MilanLive.it