Incubo squalifica anche per Matteo Berrettini: il tennista italiano deve fare i conti con una situazione difficile da gestire

La questione antidoping è stata un tema centrale nelle discussioni nell’ultimo anno e mezzo. Jannik Sinner ha dovuto fronteggiare una situazione molto complicata legata al caso Clostebol: dopo un lungo calvario, l’altoatesino si è accordato con la WADA per tre mesi di squalifica. In questo modo, il tennista ha evitato stop più lunghi: per aprile era infatti prevista la sentenza del TAS di Losanna e c’è chi parlava di una possibile squalifica di uno o addirittura due anni. Di fronte a prospettive così dannose, Sinner ha deciso di patteggiare.
Resta però il rammarico perché lui continua a sentirsi assolutamente innocente. Dal 13 aprile prossimo potrà tornare ad allenarsi e verso inizio maggio vedrà scadere il periodo di squalifica, giusto in tempo per gli Internazionali d’Italia di Roma. La vicenda ha creato molte discussioni anche nel mondo del tennis stesso e il tema antidoping è caldissimo. Ne ha parlato di recente anche Matteo Berrettini, che sta tornando su buoni livelli dopo un periodo difficile.
Berrettini e il test antidoping: “Una paranoia”
Nel corso del suo intervento al Podcast “Tintoria”, Berrettini ha avuto modo di parlare di diversi argomenti e uno dei più interessanti riguarda proprio l’antidoping nel mondo del tennis. Una pratica molto scrupolosa che coinvolge tutti gli atleti del circuito e che fa vivere ad ognuno di loro sempre un po’ d’ansia. Perché una squalifica, anche piuttosto lunga, potrebbe scattare anche in altre occasioni.

Berrettini ha spiegato come funziona il tutto: “Non è facile convivere con questa cosa. Noi abbiamo un app che dobbiamo sempre tenere accesa e nella quale dobbiamo sempre segnalare dove dormiamo. Questa estate sono stato in Grecia con amici e girando in barca ho dovuto segnalare il molo dove aveva attraccato la barca. Immaginate quando esco con una ragazza. Ho degli stalker che mi seguono e mi chiedono le urine, praticamente”.
Ogni tennista deve quindi sempre essere disponibile per svolgere la procedura. E se per caso non si rendono disponibili, ecco che nasce il problema: “Scatta un warning. A tre c’è la squalifica di un anno e mezzo. Immaginate la paranoia quando sei a due…”. Ogni atleta quindi rischia una lunghissima squalifica se per tre volte, per un motivo o per un altro, non riuscisse a sottoporsi al test. Ma è inevitabile per una questione di correttezza e chiarezza.