Tomori ha elogiato Ibrahimovic e ha raccontato qualche interessante retroscena sul campione svedese.
La presenza di Zlatan Ibrahimovic nello spogliatoio del Milan è stata importante per tutti in questi anni. La sua esperienza e il suo carattere sono stati elementi fondamentali nella crescita del gruppo.
Lo svedese si è messo al servizio dei compagni come forse mai prima nella sua carriera. Ha preso sotto la sua ala tanti giovani che seguendo il suo esempio sono maturati parecchio. Non è un caso che il Diavolo abbia cambiato marcia dopo il suo ritorno nel gennaio 2020.
Ibra è uno che esige sempre il massimo, sia da sé stesso sia dalla squadra. Ha una mentalità vincente e cerca di trasmetterla a chi gli è attorno. A Milanello ha trovato tanti giocatori che avevano bisogno di una guida come lui per tirare fuori il proprio potenziale.
Fikayo Tomori in un intervento a The Player’s Tribune ha raccontato alcuni aneddoti su Zlatan: «Ricordo quando arrivai a Milano per la prima volta e mi chiese dove alloggiassi. Poi mi disse che eravamo vicini di casa: “Abito nell’edificio accanto al tuo. Il mio appartamento è quello all’ultimo piano, così Dio può vegliare sulla sua città”».
Ibrahimovic è certamente un personaggio, uno molto sicuro di sé e che non lo nasconde affatto. Tomori conferma anche che è un grandissimo professionista, cosa di cui nessuno ha mai dubitato: «È il più forte, il più flessibile e quello che si impegna di più nella squadra, anche a 41 anni. È una macchina. Non ci sono altre parole per descriverlo. Parla sempre con quel vocione alla Zlatan, facendoti discorsini e dandoti consigli».
Fik spiega l’importanza dello svedese nel finale dello scorso campionato, concluso con la conquista dello Scudetto: «In quelle partite finali ci ha mantenuto lucidi. Ricordo che andammo negli spogliatoi nell’intervallo dell’ultima partita contro il Sassuolo in vantaggio per 3-0. Credo di non essere mai stato così felice in vita mia. Guardavo i compagni di squadra che sorridevano. Zlatan notò subito che ci stavamo lasciando andare e disse “Nessuno deve sorridere ancora! Ci sono altri 45 minuti!”. Smettemmo di sorridere. 45 minuti dopo eravamo campioni».