Pioli, c’è un problema: il (non) coraggio di cambiare | La prova è lampante

Ieri sera contro il Torino l’ennesima dimostrazione che quando c’è bisogno di cambiare qualcosa, Stefano Pioli non lo fa. C’è una prova inconfutabile

Così, proprio non va. Così, non si va da nessuna parte. Così, si rischia di gettare al vento tutto ciò che di buono è stato fatto sinora. E di buono, fino a questo momento, è stato fatto molto. Perché rovinare tutto? Perché rischiare di aver illuso migliaia di tifosi? Bisogna fare qualcosa di diverso, in questo finale di stagione.

Stefano Pioli
Stefano Pioli (©LaPresse)

Che guaio, Milan. Non tanto per il pareggio di ieri, ma per aver sprecato un vantaggio considerevole sulle inseguitrici. Fino a ventiquattro ore fa il destino era tutto nelle mani dei rossoneri, ora no è più così. La situazione è cambiata. La colpa? Solo ed esclusivamente del Milan. Inutile appigliarsi a torti arbitrali, squadre avversarie favorite, orari delle partite non favorevoli, calendario in salita. Tutto assolutamente inutile.

Il Milan fino a qualche giornata fa era al settimo cielo. Una grande stagione (e lo è tutt’ora, attenzione) quella disputata dai ragazzi di Stefano Pioli. La prima esperienza in Champions League dopo svariati anni, la possibilità di giocarsi lo Scudetto sino all’ultima giornata, la rincorsa ad una Coppa Italia che manca da ormai troppe stagioni nel palmares della società. Mancano sei giornate al termine della Serie A. Cinquecentoquaranta minuti. In questo lasso di tempo si deciderà su quale maglia, il prossimo anno, sarà applicata la patch del tricolore.

Con il pareggio di ieri con il Torino (il secondo consecutivo, peraltro a reti bianche, dopo quello in casa con il Bologna) rischia di saltare all’aria tutto ciò che di buono era stato fatto fino a questo momento. Nella parte clou della stagione, il Milan sembra essersi spento. In particolar modo il reparto offensivo, questo è evidente. Il campanello d’allarme in realtà iniziava ad accendersi già quando i rossoneri hanno inanellato tre vittorie consecutive con il risultato di 1-0, proprio prima di pareggiare due volte senza mai segnare. Certo, vincere ogni partita 1-0 ti farebbe vincere il campionato, ma qui c’era già la sensazione che qualcosa non andava.

Osare, la parola chiave di questo rush finale: non esiste soltanto il 4-2-3-1

La cosa più preoccupante è l’incapacità di questo periodo di creare pericolosità nell’area avversaria. La trequarti è pressoché inesistente. Rafael Leao continua ad essere devastante, anche se ad intermittenza. Quando parte palla al piede diventa imprendibile. Ma da solo, non basta. Brahim Diaz pare un pesce fuor d’acqua. Cosa succede allo spagnolo rimane un mistero. Saelemaekers ci ha provato, forse più di tutti, ma ha sbagliato passaggi banalissimi. Junior Messias, quando è entrato, sembrava non capire perché fosse all’Olimpico Grande Torino. Il famoso “addormentato nel bosco”. Giroud ha giocato in condizioni al limite, con una marcatura a uomo di Bremer che non gli ha concesso un attimo per rifiatare. Ha fatto il massimo, da solo.

Stefano Pioli è un grande allenatore, su questo non c’è dubbio. Il Milan è tornato ai vertici italiani da quando lui è subentrato in panchina. Non è un caso. Ma Stefano Pioli ieri, e non solo ieri, forse, ha sbagliato. Perché quando le cose non vanno come previsto, quando le situazioni prendono una piega inaspettata, ci vuole coraggio. Il coraggio di cambiare, il coraggio di modificare. Ieri, ad un certo punto, si è capito che il trequartista non serviva a nulla, perché il Torino aveva chiuso quello spazio. Pioli, invece di cambiare modulo, ha tolto Brahim Diaz spostando centralmente Saelemaekers. Il belga ha ottime qualità, ha gamba, ha personalità. Ma non è assolutamente un trequartista e lo ha dimostrato ampiamente. Non è quel calciatore in grado di mandare in porta il compagno con un tocco, non è quel calciatore che crea il pericolo dal nulla. Ma Pioli, questo, lo sa bene. Eppure, non ha cambiato.

In casi di difficoltà, come ieri sera, bisognerebbe osare di più. In panchina non c’era Ibrahimovic, nemmeno Rebic. Ma c’era Marko Lazetic. Perché non provare a cambiare modulo? Perché non passare ad un 4-4-2 cercando di creare più densità nell’area avversaria? Perché non dare fiducia ad un giovane ragazzo che finora ha visto il campo soltanto con la Primavera? Tanti sono i punti interrogativi. E’ un momento molto delicato, questo. Il tifoso rossonero deve soltanto cercare di stare il più possibile vicino alla squadra, dare l’apporto che serve, come ha sempre fatto. Solo così si può tornare a vincere e segnare. E forse anche con un pizzico di coraggio in più.

 

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