Milan, Sheva: “Devono credere alla Champions. Inter? Non mi fa piacere”

Lunga intervista di Shevchenko a Tutti Convocati. L’ex attaccante del Milan, ha parlato della sua avventura calcistica, dai primi passi in Ucraina, fino all’arrivo in Italia

Andriy Shevchenko
Andriy Shevchenko (© Getty Images)

Andriy Shevchenko si confessa. L’ex attaccante del Milan, oggi commissario tecnico dell’Ucraina, è stato intervistato da Tutti Convocati. Prime parole dedicate all’Inter campione d’Italia, prima di passare alla sua avventura nel mondo del calcio, dai primi passi fino ad arrivare al suo trasferimento a Milano:

“Non mi fa tanto piacere per l’Inter ma sono stati bravi, hanno fatto un buon campionato – ammette Sheva -. Ha avuto voglia di vincere, stimo tanto Conte, che ha passione e che ha cercato di elevare la squadra ad un gradino più alto e ci è riuscito. Milan? Quest’anno ha l’obiettivo della Champions, adesso arrivano partite difficili. Nella vita bisogna essere positivi e crederci”

Ritorno alla normalità – “Il mio primo allenatore Shpakov è stato una guida per me. Tornare a giocare dopo il disastro di Chernobyl è stato tornare alla vita. Avere persone vicine che ti aiutano è fondamentale”.


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Allenarsi con Lobanovskij – “E’ un po’ l’Arrigo Sacchi ucraino. è il primo allenatore che è riuscito a mettere assieme calcio e scienza. Ha fatto degli studi sul lavoro fisico, ha messo qualcosa di nuovo negli allenamenti. Lui ha lasciato il segno in tre generazioni. Per me è stato importante anche come uomo, non solo come tecnico. Io non ero sicuro di quello che volevo e lui mi ha messo sulla strada giusta”.

Allenamenti duri – “La nostra vita era difficile, lo chiamavano Colonnello perché la disciplina era forte, eravamo sempre in ritiro, al mese forse avevamo due giorni liberi, il resto viaggi e allenamenti. Qualche sfogo però da giovane riesci a trovarlo”

Arrivo a Milano – “Non sono arrivato per ballare o fare le feste, io avevo le idee chiare. San Siro è la Scala del calcio e giocare con la maglia del Milan è il massimo. La metodologia di allenamento era diversa, io avevo bisogno di adattarmi, lavoravo a parte per mantenere quel fisico. Poi mi sono adattato e ho capito come lavorare. La tattica per me era qualcosa di nuovo”.

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