L’intervista esclusiva di Milanlive.it a Demetrio Albertini. L’ex centrocampista ha toccato diversi temi e ha ricordato Maradona.
Il Milan è in testa alla classifica dopo otto partite di campionato. Una sorpresa per molto, non per tutti dopo l’ottimo cammino post-lockdown della squadra di Stefano Pioli. Domani i rossoneri affronteranno la Fiorentina, a San Siro: dopo tre punti pesanti con il Napoli, il Milan vuole tenere il passo e rimanere in testa per un’altra settimana.
Per approfondire il discorso sui rossoneri, MilanLive.it ha contattato in esclusiva Demetrio Albertini. L’ex centrocampista del Diavolo ha toccato diversi temi, ma non poteva non cominciare la chiacchierata con il suo personale ricordo di Diego Armando Maradona.
Immagina che io a 17 anni ho cominciato ad andare con la prima squadra e una delle prime panchine è stata proprio in un Napoli-Milan, al San Paolo. Maradona fece un gol di testa da fuori area a pallonetto. Pensa ad un ragazzo di 17 anni, una delle prime volte in prima squadra… Durante il riscaldamento guardavo solo Diego. Poi l’ho incontrato più volte in alcuni incontri con la Fifa. Parliamo di un calciatore al di fuori di tutto. Si è sempre esposto, e tanto. In un momento dove non esisteva il personaggio, lui è stato anche quello, e non solo in campo. Mi ha colpito tantissimo una frase detta da un tifoso, e penso sia la migliore in assoluto: ‘Non mi interessa cosa ha fatto della sua vita, ma mi interessa cosa ha fatto alla mia’.
In Lilla-Milan abbiamo visto sprazzi di Sandro Tonali. Di recente hai detto che deve superare una sorta di timidezza.
“Non so se lui sia timido, non lo conosco, ma da calciatore mi trasmette questo. Penso che ha tutte le qualità per essere un grande, per scrivere pagine importanti del Milan, è per il presente e per il futuro. Lui è arrivato in una squadra che aveva trovato l’equilibrio, e quando arrivi in una situazione così è difficile perché devi giocarti al meglio le tue possibilità, quando gli capiteranno. Quando sei in una grande squadra, e quando i tuoi compagni stanno andando bene, tu non puoi sbagliare le volte che ti viene data l’opportunità. Mentre in un’altra società puoi anche eventualmente stare più tranquillo perché giochi tu, qui invece c’è concorrenza. Bennacer e Kessie stanno facendo bene, stanno dando equilibrio e stanno giocando molto“.
Invece Locatelli è sempre più al centro dell’attenzione. Sarebbe stato titolare in questo Milan?
“Locatelli è un calciatore moderno, è internazionale. Ha movimento, forza fisica, buona qualità, può fare anche la mezzala. Per me è di grande livello e mi è piaciuta molto la sua crescita. Se giocherebbe? Sono stato abituato a conquistarmi il posto sul campo. Il Milan non ha undici titolari, ognuno deve conquistarsi il posto. In una squadra così non hai rincalzi, ma calciatori che possono fare i titolari. Se no non vedo il motivo per cui dovrebbe stare al Milan“.
Ti aspettavi un Maldini così bravo anche da dirigente?
“Su Paolo io sono molto sereno. Lo stupore era di vederlo per così tanto tempo lontano dal Milan… Ha preso il ruolo, lui è molto intelligente e quindi fa esperienza giorno dopo giorno, migliorerà. La situazione più difficile è giudicare un dirigente al di la dei risultati sportivi. Nei mesi scorsi è stata sollevata qualche critica anche nei suoi confronti, ma penso che lui ha sempre lavorato con il massimo dell’impegno. Magari ha fatto qualche errore, ma ci sta. Lui è valore aggiunto perché aumenterà la sua esperienza e si ritroverà ad avere in più quel carisma del grande campione. Io parlerei anche di sensibilità di spogliatoio di Paolo“.
C’è mai stata in questi due anni una chiamata del Milan per un tuo ritorno?
“Non c’è mai stato un contatto col Milan. Il filo non si è mai rotto, ma non ho mai avuto una proposta. Se mi piacerebbe? Ci sono mille cose da valutare. Sono tifoso del Milan e quindi sì, mi piacerebbe, ma da dirigente bisogna fare tante valutazioni. Non è mai capitato e non c’è mai stata un’occasione per entrare nel Milan, nessuno mi ha mai chiamato né contattato. Con i se e con i ma…“.
Questo Milan può davvero lottare per lo Scudetto?
“Spero che possano ripetere ciò che è successo nel 1999. Anche noi all’epoca non eravamo i favoriti, né i più forti, non eravamo accreditati per lo Scudetto. Poi in Primavera ci siamo trovati lì e ci siamo giocati le nostre carte. Credo che il Milan deve puntare al massimo: solo così puoi capire cosa ti manca. Se non punti al massimo, poi non saprai mai cosa ti manca per poterlo raggiungere. Uno si deve preparare per vincere lo Scudetto. In campo puoi pensare partita dopo partita, ma la tua forza deve essere quella di pensare alla fine. Essere primi adesso non è sufficiente: è una gioia per costruire meglio il futuro, questo sì“.
Con un Ibrahimovic così nulla è impossibile.
“Quando a dicembre si parlava di pro e contro Ibrahimovic, io ho sempre detto sì. L’unica incognita era l’aspetto fisico, però nel momento in cui viene meno anche quel dubbio. Cosa ha portato Ibrahimovic è sotto gli occhi di tutti. In questo momento non riesco ad immaginare qualcosa di diverso. Zlatan non è un valore aggiunto, è un valore e basta, inestimabile, anche per quello che sta dando ai giovani“.
Da qualche settimana hai pubblicato il tuo libro, “Ti racconto i campioni del Milan”. Un’idea originale.
“Mi hanno chiesto tante volte di poter scrivere un libro. Però, un po’ com’ero da calciatore, il regista è quello che fa giocare gli altri. Attraverso la descrizione di aneddoti, curiosità e dietro le quinte, fuori e dentro il campo, ho cercato di immaginare un genitore che potesse raccontare al proprio figlio chi era Van Basten o Baresi, partendo da un aneddoto raccontato da chi l’ha vissuto da vicino. Ho cercato di parlare di me il meno possibile. Siamo stati ragazzi tutti insieme, abbiamo raggiunto delle vittorie importanti. Ma tutto passa da insegnamenti, da caratteristiche fisiche e mentali di ognuno di noi, del vissuto quotidiano di ogni giorno nello spogliatoio, nel rispetto“.