Paolo Maldini parla della sua avventura da dirigente, dopo quella di calciatore al Milan. Ha grandi motivazioni, anche se sa che non è un lavoro semplice.
Il Milan è cresciuto molto in campo e lo ha fatto anche come società in questi mesi. Le grandi tensioni interne sono qualcosa di superato, anche se è normale che possano lo stesso capitare divergenze di opinioni. La differenza poi la fa come esse vengono affrontare e la capacità di giungere a una soluzione condivisa.
Paolo Maldini è direttore dell’area tecnica e ha un peso importante nelle decisioni. Ha trovato un Frederic Massara un direttore sportivo a lui complementare, una buona spalla nel condurre le varie trattative di calciomercato. Molto utile anche il contributo di Geoffrey Moncada, capo-scout che conosce molto bene i giovani talenti.
Maldini in un’intervista concessa a The Athletic si è espresso su quanto il calcio sia ciclico, anche per i top club mondiali: «Le squadre di calcio hanno cicli. Noi siamo fortunati che il nostro ciclo sia durato 25 anni, raggiungendo vette incredibili durante il periodo di Berlusconi. Ogni società ha dei cicli. È lo stesso per Manchester United, Real Madrid. Tutti questi grandi club hanno messo insieme super squadre che hanno vinto tutto, ma hanno anche incontrato difficoltà in una fase o nell’altra della loro storia».
La leggenda rossonera è tornata anche sul suo ritiro al termine della stagione 2008/2009: «Dopo 25 anni da professionista quel capitolo era finito. Anche se ero mentalmente preparato per il ritiro, ricordo che sono successe due cose. Ero a Miami, il pre-campionato è iniziato e ho pensato tra me e me: ‘Non ci sono. Devo andare ad allenarmi “. Mi è mancato un po ma penso che mi abbia fatto bene, perché non avevo lo stress. Poi c’è stata la prima volta che sono tornato a San Siro. Era Milan-Inter e mi è mancato, insieme al tempo che passi in spogliatoio con i tuoi compagni, inoltre l’atmosfera allo stadio in notti come quella. È successo anche quando il Milan ha giocato contro il Barcellona in Champions League.».
Paolo ha spiegato anche quanto sia diverso per lui essere dirigente invece che giocatore: «Nel mio ruolo bisogna pensare a 200. Da calciatore devi pensare solo a te stesso, ma quando sei un capitano sei responsabile anche di altre cose al di fuori della tua sfera. La verità è che, come giocatore, ti alleni, giochi e vai a casa. È un lavoro duro ma è condensato in un breve lasso di tempo. Un direttore tecnico ha due ruoli. Lavoro in ufficio. La finestra di trasferimento è aperta tutto l’anno. Incontri agenti e persone che lavorano nel calcio. Poi c’è il lato sportivo di tutto. Vai a vedere l’allenamento. Siamo in stretto contatto con il team. Poi vai alle partite».
Non ha mai sopportato il calciomercato, ma da direttore tecnico deve occuparsene praticamente per tutto l’anno: «L’ho sempre odiato. Il mio interesse era per il gioco stesso. La premessa di ogni trattativa per il rinnovo con Galliani e Braida era sempre la stessa. “Non voglio andarmene e non credo che voi vogliate liberarvi di me”. Praticamente ho concluso da solo le ultime tre o quattro trattative contrattuali. Avvisavo il mio agente Beppe Bonetto che andavo agli incontri. Ne ho fatto uno con le stampelle dopo l’ultima Champions League vinta ad Atene nel 2007. Mi sono presentato all’incontro con le stampelle ma hanno accettato i termini e le condizioni che avevo chiesto».
Maldini è contento della crescita della squadra, alla quale Zlatan Ibrahimovic ha partecipato attivamente: «Abbiamo ottenuto quello che ci aspettavamo. La squadra è molto giovane e mentre è fiduciosa per alcuni aspetti, è un po’ insicura per altri. La presenza di Ibra ha alzato il livello della concorrenza a Milanello. Nel calcio ci sono cose che evolvono nel tempo, ma alcune cose sono vere ora come lo erano in passato. La competitività è una di questi. È l’unico modo per aumentare lo standard generale di prestazioni nei giochi e sarà sempre così. Zlatan è un maestro in questo. Non vuole mai perdere, nemmeno a carte. Anch’io ero così. Mia moglie mi prendeva in giro perché quando giocavo a ping-pong con i miei figli invece di perdere volevo vincere. Onestamente non importa cosa o chi stai giocando, devi essere competitivo. È la natura di un atleta professionista».
Successivamente ha parlato anche di San Siro, stadio storico che nei piani di Milan e Inter verrà rimpiazzato da un nuovo impianto sportivo in futuro: «Giocare a San Siro è stupendo, ho un sacco di bellissimi ricordi qui ma è diventato datato per club dalle grandi ambizioni come Inter e Milan».
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