Nella sua autobiografia Marco van Basten racconta del rapporto burrascoso con Arrigo Sacchi, fino alla lite che portò Berlusconi a decidere di cambiare.
L’autobiografia di Marco van Basten è un cimelio che ogni tifosi milanista dovrebbe avere nella propria libreria. “Fragile”, è il titolo. Riferimento alla caviglia e tutto ciò che ne è scaturito dal punto di vista mentale. Si è dovuto arrendere nel pieno della sua grandezza. Un incubo che diventa realtà.
Ma se parliamo di carattere, allora quella fragilità svanisce. Perché Van Basten è un uomo schietto, e lo si capisce da tante cose e da tanti episodi. Uno su tutti, il suo rapporto con Arrigo Sacchi, passato alla storia come uno degli allenatori più innovatori della storia del calcio. Non per Marco.
“Non finiva mai di parlare di tattica“, spiega l’olandese. “Quando dormivamo in hotel prima di una partita, capitava che chi aveva la stanza vicina a quella di Sacchi venisse svegliato dalle sue urla: “Fuorigioco, fuorigioco”. Succedeva ogni volta“.
Nel suo primo anno al Milan, Van Basten non ha praticamente mai giocato, se non nell’ultima parte di stagione. La causa è la prima operazione alla caviglia che gli impedì di scendere in campo per molto tempo.
Sacchi allora schierava in attacco Virdis e Gullit, perfetti per il suo “pressing a zona”. Una cosa mai vista né sentita prima, ma che Van Basten riassume così: “In realtà, non è altro che difendere già con gli attaccanti“.
E qui arriviamo al punto chiave della discussione. Van Basten definisce Sacchi, in sostanza, un difensivista, un normale allenatore all’italiana. Per lui, olandese puro sangue, per giocare d’attacco bisognava schierarsi col 4-3-3. Invece il Milan utilizzava il 4-4-2, con due linee da quattro che Marco descrive “di infallibili difensori“.
Oltre agli aspetti tattici, fra Van Basten e Sacchi, per farla breve, non scorreva buon sangue. “Mancò qualcosa a livello personale“, dice l’ex attaccante nella sua autobiografia. Lui, uomo schietto e sincero, diceva che il suo allenatore non era abbastanza diverso. “Quando in allenamento andavo troppo piano, lui urlava a qualcuno dei più giovani, ma in realtà ce l’aveva con me“.
Per spiegare, invece, com’era il “suo modo”, racconta della lite con Mauro Tassotti, che è poi diventato uno dei suoi più grandi amici nel calcio.
In un clima così ostile, la rottura definitiva era inevitabile. E arrivò nella Primavera del 1991, poco prima dell’addio di Sacchi al Milan.
Van Basten era nella sala massaggi di Milanello quando l’allenatore entrò per dargli l’ennesima spiegazione tattica. A quel punto l’attaccante non riuscì più a trattenersi ed esplose.
“Ho interrotto il ragionamento di Sacchi, e senza farmi troppi scrupoli gli ho detto: “Mister, voglio che sia chiara una cosa. Tu continui a dire che siamo vincenti proprio perché abbiamo lavorato con te, io invece vorrei metterla diversamente. Non abbiamo vinto tutti quei premi perché ci sei stato tu, ma nonostante ci fossi tu“.
A quel punto Sacchi non disse una parola, uscì dalla sala e andò subito a parlare con Berlusconi. Il presidente avrebbe dovuto fare una scelta: o Sacchi o Van Basten. Dopo qualche mese Fabio Capello diventò il nuovo allenatore del Milan. E fu tutt’altra musica.