È durata poco più di tre stagioni la carriera di Pato, soprannome che deriva da Pato Branco (tradotto, Papero bianco), città dove è nato. Tre stagioni in cui lo abbiamo visto segnare, esultare, mettere le basi di un futuro che sembrava luminoso.
Carlo Ancelotti, il suo primo allenatore al Milan, era pronto a scommettere: “Diventerà il migliore e vincerà il Pallone d’Oro“. E non aveva mica tutti i torti. Non ce l’avevano nemmeno in Brasile, convinti di aver trovato il degno erede di Ronaldo. Che, tra l’altro, giocò con lui in rossonero, ma per poco tempo.
Inutile negarlo: Pato era destinato a diventare il più grande attaccante al mondo. Gli Dei del calcio lo avevano fornito bene, se non troppo. In particolare, gli avevano dato una capacità spaventosa di abbinare la qualità alla corsa. Il Milan lo comprò dall’International quando non era ancora maggiorenne: 22 milioni, non erano mai stati spesi così tanti soldi per uno tanto giovane.
I rossoneri poterono tesserarlo soltanto a gennaio 2008. Alla prima occasione buona, e cioè dopo lo stop di Natale, Ancelotti lo mandò subito in campo, da titolare, a San Siro contro il Napoli. Era il debutto del Ka-Pa-Ro, il super tridente brasiliano composto da Kakà, Ronaldo e, appunto, Pato. Dietro di loro anche Clarence Seedorf e Andrea Pirlo, proprio per non farci mancare nulla.
Al 74′ il ragazzo brasiliano segnò anche il primo gol, bellissimo. E indimenticabile. Perché quella rete segnava l’inizio di una nuova stella. E lo confermarono anche le partite e le stagioni successive, compresa quella dell’ultimo scudetto.
Ha letteralmente infiammato i tifosi del Milan con le sue giocate e le sue reti. Soprattutto una, al Camp Nou, contro il fortissimo Barcellona di Pep Guardiola. Era il 13 settembre del 2001. Fischio d’inizio e, dopo 24 secondi, Pato tocca la palla e si lancia da solo nello spazio, gol (il quinto più veloce di sempre nella storia della Champions). Una roba da marziano.
Un altro 2-2, di nuovo in trasferta, ma in campionato. Un’altra magia di Pato. Che raccoglie il passaggio di Ronaldinho, brucia Mexes con uno scatto spaventoso e, in posizione defilata, batte il portiere con un dolcissimo scavetto. Una rete davvero sensazionale.
Come detto in apertura, Pato aveva una capacità di controllo palla in corsa pazzesco. E questo gli permetteva dribbling sul lungo, come nel caso di Mexes, ma era abilissimo anche nello stretto. Questo gol al Chievo Verona (allenato da Stefano Pioli), per tre punti fondamentali per lo scudetto del Milan, lo dimostra.
Straordinario in corsa, nel dribbling e lucido sotto porta. Non è finita, perché Pato, nonostante un corpo apparentemente gracile, avevo una forza nel tiro incredibile. Ne ha fatti tanti, ma ci piace ricordare questo qui. Non è una bella serata: il Milan si fa rimontare dal Werder Brema e saluta la Coppa UEFA, ma Pato fa un gol mitico.
Troppo difficile scegliere soltanto cinque gol. Pato al Milan ne ha segnati 63 in 150 partite, una media pazzesca. Tanti di questi davvero belli. Che, senza dubbio, avrebbero aiutato Pato a portarsi a casa qualche Pallone d’Oro, se tutto fosse andato come doveva andare.
E invece la storia ci ha consegnato un ragazzo prodigio, timido e introverso, che ha smesso di fare il calciatore troppo presto, falcidiato dagli infortuni e dalla sorte. La natura gli aveva dato tutto, gli eventi della vita gli hanno tolto tutto. I tifosi del Milan, pur rammaricati per come sono andate le cose, lo ricorderanno sempre con grande affetto. Perché diciamocelo: è impossibile non voler bene a Patinho.