Intervista di Paolo Maldini a Sportweek. In vista dei 120 anni del Milan, il direttore tecnico rossonero ha commentato il Diavolo tra passato, presente e futuro.
Milan, parla Paolo Maldini. In vista dei 120 anni di storia del club, l’indelebile capitano rossonero, oggi direttore tecnico del Diavolo, ha rilasciato un’intervista a Sportweek oggi in edicola.
Si parte da una domanda ben precisa: quando ha avuto la percezione di cosa fosse il Milan. Maldini esordisce così: “Ricordo una partita a Milanello con mio fratello Alessandro: uno contro uno a tutto campo, eravamo piccoli. Poi una festa di Natale con mio padre. E il provino, certo. Io non ho mai chiesto a mio padre cosa rappresentasse per lui il Milan e non l’ho nemmeno spiegato ai miei figli: meglio capirlo, maturare un’idea”.
La famiglia Maldini ora riparte dal giovane Daniel, già nel giro della prima squadra: “Sono consigli solitamente più legati alla vita che al calcio. MIo padre mi disse di essere sempre responsabile e non cercare mai scuse. A daniel ho spiegato qualche mese fa che le occasioni arrivano all’improvviso e vanno colte perché magari non si ripresentano più. E ignoravo che sarebbe stato aggregato alla prima squadra”.
Quando gli si chiedono i tre valori distinti del Milan, Maldini risponde così: “La passione. L’eleganza. E l’ambizione: abbiamo avuto brutte cadute ma siamo sempre rimbalzato in alto anche se poi vanno considerate le varie epoche. Ai tempi di Berlusconi era più facile risalire: c’era una struttura societaria importante e minore concorrenza. Adesso tutte le squadre inglesi e tante altre in Europa possono permettersi di spendere cifre importanti sul mercato”.
Storia che si respira anche a Milanello: “Ho sempre avuto la percezione che a Milanello si respirasse la stessa atmosfera che poi ritrovavo a San Siro o nei grandi stadi europei. Magari è un centro sportivo che avrebbe bisogno di maggiori spazi e una struttura più ampia, ma resta unico perché è davvero una casa. E in tutti i futuro progetti di ammodernamento non verrà mai stravolta l’idea di calore che i bellissimi centri all’avunguardia non riescono a trasmettere”.
Passano gli anni, ma resta sempre e solo una certezza: il Milan. “L’ho senta tante volte questa frase ed è giusto che sia così. In famiglia facciamo fatica a essere distaccati dal mondo Milan, ma sono fermamente convinto che nulla sia sopra al club: nemmeno i presidenti e i proprietari. Lo dico sempre ai giocatori”.
Poi il salto nel futuro. Innanzitutto come vede il Milan tra altri 120 anni: “Sogno un calcio fatto di emozioni. Intriso di quei valori che non passeranno mai di moda, perché sono stati alla base delle vittorie di questi primi 120 anni e saranno alla base dei successi futuri. Nei momenti difficili viene fuori il valore degli uomini, ancor più che quello dei calciatori”.
Come vede invece il Diavolo tra pochi anni? “Per cambiare le cose devi fare un programma a media scadenza. Ma bisogna avere l’ambizione di prendere il treno che passa e accelerare. Altrimenti non avremmo vinto lo scudetto con Zaccheroni e almeno un paio di Champions. Dovremo avere la prontezza di saltare sul treno, perché poi lassù si sta comodi e all’improvviso ti riscopri al livello degli altri, se non meglio. Quindi noi lavoriamo per mettere le fondamenta, ma siamo pronti a fare un bel balzo”.
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