Lucas Paquetá e il Milan: a quasi un anno dall’arrivo, i conti non tornano. Acquisto più costoso dell’era targata Elliott Management Corporation, all’orizzonte c’è uno scenario preoccupante.
L’acquisto più costoso dell’era Elliott Management Corporation. Basterebbe questo per comprendere la portata dell’investimento e il suo peso specifico. 35 milioni di euro più bonus. Cifra spesa in alternativa solo per i bomber: prima per Gonzalo Higuain (sarebbero stati 38 totali in caso di riscatto), poi per Krzysztof Piatek.
Perché Lucas Paquetá, nei piani del Milan, avrebbe dovuto rappresentare un valore aggiunto in questa squadra. Un leader tecnico, capace di innalzare il tasso qualitativo della mediana e dell’intera formazione. Tutto assolutamente lecito e possibile, considerandone l’investimento e le caratteristiche del giocatore.
Eppure qualcosa è andato storto. Quel piano tracciato da Leonardo, che oggi lo poterebbe volentieri con sé al PSG, non si è mai davvero concretizzato. Basta rispondere a una semplice domanda per andare al dunque: cosa ha dato finora Paquetá al Milan? Poco, considerando quanto visto in campo. Nulla, a fronte delle aspettative e delle sue indiscusse qualità.
35 milioni di euro per un goal?
La verità, piuttosto, è che finora Paquetá ha deluso e non poco. Non è un fenomeno – e lo abbiamo detto subito – ma è pur sempre un ottimo giocatore che può diventare un grande calciatore. Forse anche un campione, se riuscisse a canalizzare al meglio tutte le sue qualità. Del resto non è un caso che sia stata consegnata a lui, seppur tra varie assenze, la numero 10 della Seleção. Eccessivo come giustamente rimarcava Rivaldo, ma pur sempre significativo. Eppure, per un motivo o per un altro, l’ex Flamengo non è riuscito mai a incidere in casa Diavolo. Non l’ha mai fatto davvero e, soprattutto, non ha mai dato segnali di continuità.
Oltre i sei mesi positivi con Gennaro Gattuso, il brasiliano non ha mai più lasciato il segno. Appena 1 goal in quasi un anno di Milan. Un dato inquietante considerandone costo e caratteristiche. Il 21enne, paradossalmente, ha reso più all’avvio, quando era il caso di prendere le misure e adattarsi a un nuovo mondo, che nel prosieguo. Meglio con Rino, nonostante sia stato catapultato subito nella mischia e malgrado le tossine di un’intera stagione brasiliana, che nella parte successiva della sua avventura milanista. Ma il ‘bonus adattamento’ finiva proprio lì. Con Ringhio. Ecco perché ora i conti non tornano.
Le colpe di Paquetá
Non è scatta la scintilla con Marco Giampaolo. Così come non c’è ancora l’exploit sperato con Stefano Pioli. Passano gli allenatori, le dinamiche, ma quell’asticella non si alza. E la colpa di certo non può essere sempre degli altri. Al di là di numeri da futsal e spunti sporadici, il talento di Rio non ha fatto certo tanto per farsi ricordare.
Indipendentemente da ogni singola variabile – e ce ne sono, per carità – non c’è mai stato uno strappo personale. Mai una prestazione da trascinatore o un goal. Il tempo, in tal senso, si è fermato a quell’11 febbraio dove timbrò il cartellino a San Siro contro il Cagliari. Ma da allora non ha mai mostrato quel quid in più sul piano della cattiveria, non ha mai preso il centrocampo per mano come potrebbe e dovrebbe. Anzi: a tratti ha quasi la sensazione di sedersi sugli allora. Di aspettare lì tranquillo. Per la serie: “Sono forte e lo dimostrerò, prima o poi”.
Una remissività strana per chi dovrebbe essere invece affamato. Certo, la squadra e i momenti non lo hanno di certo aiutato, ma in fondo nemmeno lui stesso lo ha fatto. Nel suo piccolo, prima o dopo, non si è mai dimostrato il faro del centrocampo. La conclusione dal limite, l’inserimento aereo, la visione di gioco e il ripiegamento sono tutte armi preziose del suo repertorio, ma mai mostrate davvero finora.
Conclusione? L’acquisto più oneroso targato Elliott ora rischia la panchina. Un paradosso totale, impensabile per lo stesso peso dell’affare, eppure possibile al momento. Perché nelle gerarchie di sinistra, a volerla dire tutta, è già scalato in fondo. Attualmente ultimo dietro il ritrovato Giacomo Bonaventura, un valore aggiunto se starà bene, e un Hakan Calhanoglu rigenerato. Mentre a destra sarà dura scalzare un più silente e operaio Rude Krunic, il quale, a modo suo, anche sta dando un grosso contributo tra equilibrio e quantità.
Il nuovo modulo e il rischio panchina
Ciò che al momento anche favorisce Paquetá è il 4-3-3, il che permette di dirottare Calhanoglu in attacco e di aprire un ballottaggio solo con un Jack ancora non fisicamente al top. Ma attenzione agli scenari che incombono. Perché è già da un po’ che Pioli lavora parallelamente sulla difesa a tre, e tutto sembrerebbe convergere verso quella direzione. Il rientro di Mattia Caldara, l’exploit di Andrea Conti e Theo Hernandez sulle fasce e l’attesa per Zlatan Ibrahimovic.
Se tutto dovesse andare per il verso giusto, si andrebbe forse verso un più adeguato 3-5-2. Con un tandem Ibra-Piatek e Suso alle loro spalle, libero poi di svariare sulla destra come nell’ultimo periodo giampaoliano. Il che, a quel punto, significherebbe due soli posti in mediana.
Ed ecco che il brasiliano rischierebbe di sprofondare clamorosamente. Anche perché è la stessa classifica rossonera a imporre di non guardare in faccia a nessuno. Ora saranno gli altri a dover rincorrere il Milan, non più viceversa. E allora via alla scossa. Da subito. Perché con un Piatek in decadimento totale, il Milan non sopporterebbe un doppio tradimento. Non da 70 milioni totali. Obiettivo 2020 da non fallire. Un anno di adattamento è più che sufficiente.
di Pasquale Edivaldo Cacciola
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