Riccardo Piscitelli è tra i ragazzi che ha coronato il sogno di approdare nel settore giovanile del Milan, facendo tutta la trafila e arrivando anche ad essere aggregato alla Prima Squadra.
Poi l’esperienza in prestito alla Carrarese nell’estate 2012, prima di trasferirsi al Benevento nel 2013. Nel dicembre 2018 il portiere classe 1993 nato a Vimercate è approdato al Carpi. Conclusa la stagione in Serie B, la decisione di accettare l’offerta della Dinamo Bucarest per intraprendere un’avventura completamente nuova in Romania.
MilanLive.it intervista Riccardo Piscitelli
Riccardo, raccontaci come sei entrato nel settore giovanile del Milan.
«Mia madre fin da piccolo mi ha portato a fare tanti sport e un giorno anche a giocare a calcio. Nella squadra in cui andai l’unico posto disponibile era quello di portiere e arrivando dalle arti marziali per me quello era un ruolo ideale. Ho iniziato a 8 anni, tempo un anno mi sono trasferito ad Arcore con la mia famiglia e ho iniziato a giocare lì. Abbiamo fatto un torneo nel quale c’era anche il Milan e noi abbiamo vinto ai rigori, io ne parai alcuni e feci una grande prestazione. Successivamente feci un provino ed entrai nel settore giovanile rossonero. Era il 2003, avevo 10 anni».
Hai fatto tutta la trafila nel vivaio e hai avuto modo di giocare con compagni che oggi militano in Serie A. Ad esempio Petagna, Cristante, De Sciglio, Verdi. Chi ti impressionò ai tempi?
«Quello che mi colpì più di tutti fu Verdi. Quando avevamo 17-18 anni pensavo fosse un fenomeno. Mi ha fatto strano che non sia riuscito ad esplodere subito. Anche altri erano forti, ma Simone lo metto in cima. Un altro che pensavo potesse avere un grande futuro era Simone Amelotti, che fu veramente sfortunato perché ha avuto brutti infortuni quando aveva 15-16 anni. Quindi poi è stato complicato per lui venire fuori. Ai tempi lo mettevo assieme a Verdi, ma le cose non gli sono girate bene».
Quali sono i ricordi più belli dell’esperienza al Milan?
«C’è stato tutto un processo di crescita e ho avuto la fortuna di confrontarmi fin da quando ero più piccolo con compagni di livello. Giocare con compagni forti ti aiuta a crescere più velocemente. Poi al Milan ci sono formatori importanti, nel mio caso gli allenatori dei portieri mi hanno dato una grande mano. Si possono apprendere tante cose. L’esperienza che ricordo con più enfasi è quella in prima squadra, perché ero in contatto con il vero Milan pieno di campioni. C’erano giocatori come Abbiati, Nesta, Gattuso, Pirlo, Inzaghi, Ibrahimovic, Seedorf, Ambrosini, Thiago Silva… Aver vissuto tutti quei personaggi è stata un’esperienza che lascia il segno per sempre. Quando hai 17-18 anni apprendi come una spugna sotto ogni aspetto».
Ci sono episodi specifici che ti vengono in mente?
«Ci sarebbero tanti momenti da citare. Mi vengono in mente i consigli di Abbiati e Amelia, che volevano aiutarmi a migliorare e non è qualcosa di scontato. Anzi, a certi livelli può anche essere raro. Al Milan era diverso. Mi piacquero anche certi episodi riguardanti Ibrahimovic, dagli scherzi sul pullman a situazioni in cui magari riusciva a tirare fuori il meglio dai compagni. Ci sono stati tanti esempi caratteriali. Gattuso si vedeva già ai tempi che era un allenatore. Proprio l’aspetto caratteriale di quello spogliatoio è ciò che mi è rimasto più impresso».
Che idea ti sei fatto del Milan recente?
«In questo momento il Milan non è allo stesso livello di un po’ di anni fa e per questo è ricorso a riprendere figure come ad esempio Gattuso, Maldini e poi Boban. L’obiettivo probabilmente è stato quello di ricreare lo spirito di appartenenza che ha sempre contraddistinto il club. Si era scesi di un gradino in precedenza e ora c’è l’intenzione di riportare il Milan a quello che dovrebbe essere il suo livello. Ci sono stati tanti cambiamenti in un lasso di tempo breve e adesso servirebbe anche un po’ di stabilità per concretizzare un progetto di rilancio».
Ti piace Giampaolo come allenatore?
«Sì, penso che ogni allenatore importante che è stato al Milan abbia lasciato la propria impronta. Penso che uno come Giampaolo possa fare altrettanto, visto che è uno a cui piace far giocare un bel calcio alle proprie squadre. Le sue idee sono chiare e possono aiutare il Milan odierno».
Quale giocatore del Milan segui con maggiore interesse?
«Essendo portiere, guardo molto Donnarumma. Lo seguo come se mi immedesimassi in lui, avendo vissuto l’inizio di quello che potrei aver vissuto anche io in Prima Squadra. Mi metto nei suoi panni, capisco sia i momenti positivi che quelli negativi che attraversa. Alla sua età è normale che vi siano periodi negativi, ma la cosa importante è saperli superare e tornare a livelli importanti. Ed è quello che ha fatto finora. Ha sempre saputo reagire dopo qualche difficoltà. Ha un grande carattere, non è semplice gestire le pressioni di essere il portiere titolare del Milan. Sono dalla sua parte, spero che riesca a creare attorno a sé quella che io chiamo ‘aurea’. Ciascuno oltre ad essere un giocatore si porta dietro un’aurea che racchiude anche la persona e il carattere che ha. Per me è fondamentale che riesca a crearsi un’area forte. Ha il talento e il tempo per farcela».
Immagini Donnarumma a lungo nel Milan?
«Sinceramente mi piacerebbe vederlo essere più internazionale, quindi cambiare anche squadra provando avventure all’estero. Si tratta di un mio pensiero personale. Vorrei vedere come si comporterebbe in contesti differenti. A me fin da piccolo è piaciuta l’idea di andare all’estero e alla prima occasione ho accettato, mi piace fare esperienze nuove».
Quali sono i tuoi modelli?
«Come modello del passato sicuramente Buffon, ha fatto la storia. I miei idoli odierni invece sono Neuer, il più completo assolutamente, ed Ederson. Mi piacciono anche De Gea, Oblak, Pickford e Ter Stegen. Guardo tante partite per imparare cose nuove».
Tornando alla tua carriera, da quest’estate sei approdato in Romania e indossi la maglia della Dinamo Bucarest. Com’è nata questa chance di approdare nel campionato rumeno?
«Diciamo che in passato ho seguito troppo spesso il consiglio degli altri più che la mia reale volontà. Quest’anno quando mi si è prospettata la possibilità di andare all’estero in un progetto interessante, non ci ho pensato e l’ho colta subito. La chiamata è venuta già a giugno e ho accettato in fretta».
Come ti stai trovando nella nuova realtà? Alla Dinamo Bucarest hai ritrovato un connazionale come Mattia Montini, attaccante approdato in Romania già un anno fa e autore di una buona stagione 2018/2019.
«Con lui avevo già giocato a Benevento. Lui mi aveva spiegato un po’ di cose prima che io arrivassi in Romania. Mi trovo molto bene con i nuovi compagni di squadra. Mi sto ambientando positivamente in questa città, inoltre il livello delle strutture di allenamento è buonissimo. Non c’è nulla di cui lamentarsi sotto questi aspetti. Qui il campionato è già iniziato e funziona diversamente che in Italia, visto che si divide in due parti. La prima dura fino a febbraio, con le prime sei che poi vanno ai playoff e le altre fanno i playout. Quindi c’è una gestione differente della stagione e delle squadre».
Qual è l’obiettivo stagionale della Dinamo Bucarest?
«La nostra è una squadra con tanta storia in Romania e l’ambizione è certamente quella di qualificarci ai playoff. Poi lì vedremo cosa succederà, ora è difficile dire cosa a cosa potremo ambire».
E per il tuo futuro che ambizioni hai? Ti piacerebbe tornare in Italia o continuare ad avere esperienze estere?
«Sinceramente mi piace di più l’idea di girare e avere avventure fuori. Ovviamente ciò non significa che rifiuterei una chiamata importante dall’Italia. Mi incuriosiscono molto la Premier League e la Major League Soccer americana. La mia sfida è quella di lasciare il segno in un campionato internazionale. Vorrei fare qualcosa di bello fuori dall’Italia, anche se quando vai all’estero devi ripartire da zero e non è facile imporsi».
A Benevento hai giocato con Brignoli, che ai tifosi del Milan ricorda l’incredibile gol del pareggio subito al 97′ nella prima partita di Gattuso sulla panchina rossonera. Cosa pensi di quell’episodio?
«Alla fine è anche questo il bello del calcio. Spesso si cerca di controllare ogni situazione, si sa cosa fare praticamente in tutte le circostanze e quando c’è un colpo di scena penso sia il bello di questo sport. Queste cose emozionare la gente sia in positivo che in negativo».
Matteo Bellan