Kakà l’americano: “Milan, quanta nostalgia. Mi fido di Inzaghi, in un paio di anni si ripartirà”

Kakà (getty images)
Kakà (getty images)

La Gazzetta dello Sport di oggi ha raccolto le parole di Ricardo Kakà, l’ex stella brasiliana del Milan, talento assoluto che da gennaio ha deciso di intraprendere la particolare strada che porta alla MLS statunitense con la maglia dell’Orlando City. Ecco le prime impressioni ‘americane’ di Kakà e il ricordo del periodo rossonero.

 

Kakà, cinque giornate in Mls (due gol, un assist, una vittoria, due pari e due sconfitte) sono ancora poche per esprimere dei giudizi. Ha già capito le differenze con il calcio europeo?

«Una su tutte: si gioca una volta alla settimana e c’è più tempo per preparare la partita. La conseguenza è che le avversarie sono sempre a posto fisicamente e le gare molto competitive: c’è più equilibrio».

Debutto con gol, davanti a 62mila spettatori: se l’aspettava?

«In Brasile sono molti meno, a volte anche in partite importanti. E poi non mi era mai successo di segnare il primo gol nella storia di una squadra: davvero emozionante».

È vero che è stato Beckham a convincerla a venire nella Mls?

«Prima di averlo come compagno al Milan, lo avevo incontrato in un paio di occasioni qui in Florida durante alcune tournée. Lui me ne ha sempre parlato molto bene. Mi diceva che era un campionato bello, che ci si divertiva. Sì, il suo parere è stato importante. Se mi avesse raccontato cose meno positive, probabilmente avrei cambiato idea».

Al Milan, la stagione passata, già raccontava di voler venire negli Usa. Quando ha preso la decisione?

«Al termine del campionato avevo anticipato a Galliani che dovevo rientrare in Brasile per risolvere un po’ di cose e che poi avrei deciso se tornare. È allora che ho parlato con Orlando e firmato questo accordo. Galliani è stato il primo a sapere. L’ho ringraziato per tutto quello che ha sempre fatto per me».

Quanto ha influenzato la sua scelta americana il fatto di non essere andato al Mondiale?

«Un po’ ha influito. Ho fatto di tutto per essere in Brasile: era la Coppa nel Mondo nel mio Paese. Poi quando ho saputo che non avrei fatto parte della Seleçao, ho pensato che fosse arrivato il momento per il salto».

Se l’anno scorso il Milan fosse stato più competitivo, sarebbe rimasto in rossonero più a lungo?

«È difficile dirlo, le cose succedono e basta. Avere l’opportunità di poterci rigiocare, anche se per un solo campionato e con tutto quello che ho vissuto in quella società, mi ha reso davvero felice».

Differenze fra la Milanello del 2003, quando arrivò in mezzo a tanti campioni, e quello dimesso che ha trovato l’anno passato. Saudade?

«Ne erano passati quattro dalla mia ultima volta, dopo averne trascorsi sei meravigliosi. Certo ho trovato giocatori diversi. Mi pare che dei vecchi compagni fossero rimasti in due, Bonera e un altro (ci pensa su, ma non gli viene il nome… era Abbiati, ndr). C’era Pippo sempre in giro. Ma nessun dubbio: lo spogliatoio era differente. La saudade per il Milan non mi passerà mai».

Che cosa mancava a quella squadra?

Ride. «I punti, insomma la continuità dei risultati. Facevamo delle belle partite, come contro il Barcellona o le due contro la Juve. Poi però alla fine mancava sempre qualcosa».

Anche in questo campionato manca qualcosa. Inzaghi, uno dei suoi grandi amici, ha avuto forse troppa fretta di accettare una posizione così carica di responsabilità?

«Non credo. Pippo è uno che ama il calcio e vive per il calcio. Sapevamo che sarebbe diventato un allenatore: era quello che non perdeva una partita in tv. Per me ha percorso la strada giusta. Un anno con gli Allievi, uno con la Primavera. Poi è venuto il momento di prendere in mano una squadra ed è capitato il Milan. Mi pare difficile dire di no a una simile occasione. Forse il timing non è stato dei migliori».

Ha visto giocare il Milan di Inzaghi?

«Solo poche partite. Do un’occhiata ai risultati e quelli sono già indicativi: raccontano una stagione di sofferenza. Ma io sono ottimista: due o tre anni di sacrifici e poi ripartiremo. Dobbiamo prendere l’esempio della Juve».

Lei farebbe l’allenatore come Pippo?

«In questo momento le risponderei di no. Chissà, forse fra tre o quattro anni quando smetterò cambierò idea. Ma oggi no. Mi piacerebbe rimanere nel calcio, magari con un ruolo più dirigenziale, come Leonardo».

Sapendo come è andata la sua avventura al Real Madrid, tornasse indietro lascerebbe il Milan?

«Gli anni di Madrid sono stati duri, ma bellissimi. Di risultati ce ne sono stati: vittoria in campionato, Coppa del Re, supercoppa spagnola, 29 gol in 4 stagioni. Non mi sembra un brutto bilancio. Andare al Real mi ha fatto crescere tantissimo. La considero una tappa fondamentale per la mia carriera, un plus. Quando sarò vecchio potrò dire: ehi, ho giocato nel Milan e nel Real. Mica male».

Il calcio italiano è in crisi: è solo una questione economica?

«Sì. Con disponibilità più limitate non è oggettivamente facile competere con squadroni come Psg, Chelsea, Manchester City e le altre ricche. L’Italia non attraversa un bel periodo e le norme fiscali in materia non le danno una mano. Ma durante le difficoltà, qualcuno riesce a trovare delle soluzioni. Mi piace portare l’esempio della Juve, che sta facendo grandissime cose e raccogliendo buoni frutti. Quasi certamente vincerà un altro scudetto e sta andando benissimo in Champions. Evidentemente c’è qualcosa di speciale in come sta lavorando».

Se la situazione economica fosse stata quella di oggi, avrebbe scelto di giocare in Serie A nel 2003?

«Diciamo che non sono stato io a scegliere il vostro Paese, ma è stata l’Italia a scegliere me. Quindi devo ringraziarvi per avermi permesso di diventare chi sono. Però da voi ci verrei anche oggi. Non solo per il calcio: per lo stile di vita, la gente, i tifosi. Se dovessi dare un consiglio a qualcuno dei miei nuovi compagni, gli direi: “Vai in Italia!”».

A proposito, qualche suggerimento per Galliani?

«Kevin Molino. Viene dal Trinidad, un bell’attaccante. Deve crescere e imparare, ma potrebbe fare bene».

Lei ha giocato con Balotelli. Che cosa ne pensa? Un talento che si è perso per strada o è sbagliato parlare di talento?

«Non sto seguendo molto la sua nuova avventura con il Liverpool. Però l’ho avuto al mio fianco per un anno al Milan e sono certo che sia un talento. Secondo me a volte non si rende totalmente conto delle responsabilità che ha: sia nel calcio italiano sia nella squadra in cui si trova. Mario sottovaluta l’importanza di questo aspetto».

Nazionale brasiliana: rapporto chiuso o Dunga la tiene ancora in considerazione?

«A fine 2014 ho fatto due presenze nelle amichevoli con Argentina e Giappone. Poi nelle due uscite successive non mi ha chiamato. Dunga mi conosce, sa che cosa posso dare. E non penso che il fatto di essere nella Mls possa sbarrarmi la strada. Sto aspettando. Se faccio bene qui e gioco con continuità, so di avere delle opportunità».

Ha vissuto il Mondiale da tifoso: che cosa ha provato dopo l’1-7 con la Germania?

«Una tristezza infinita, come tutti. La gente era in attesa di qualcosa che non è mai arrivato. Un capitolo pesantissimo per la nostra storia».

C’è la voce che El Chicharito Hernandez potrebbe raggiungerla qui. Pare che Ibrahimovic stia facendo il visto per gli Usa. Merito anche suo se gli Usa stanno diventando una meta ambita?

«In parte sì. Questa era la mia idea quando ho accettato di venire qui: aiutare il soccer a crescere. È iniziato con Beckham, proseguito con Henry. Ora ci sono Villa, arriveranno Gerrard e Lampard e a Toronto c’è anche Giovinco: potevano continuare a giocare in Europa. Si guadagna bene? Sì. Ma soprattutto si vive bene».

Lasciamo stare Messi e Ronaldo, chi è il calciatore che la entusiasma di più?

«Adesso? Neymar. Ho giocato con lui in Nazionale, so che cosa può fare. È un fenomeno».

Come si sconfiggono razzismo e violenza negli stadi italiani?

«È difficile. Sono situazioni che hanno origine lontana, nell’educazione di un popolo. Questo non è un problema del calcio, ma sociale. E dispiace vedere che lo stadio venga usato come palcoscenico di questi malesseri. E allora il calcio ha il dovere di proteggersi. Perché esistono valori positivi. Me ne accorgo alle nostre partite qui negli Usa: in tribuna, intere famiglie, nonni, bambini. C’è ancora purezza, tutto molto bello».

 

Redazione MilanLive.it

 

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