Maxi-intervista della Gazzetta dello Sport all’ex bomber Hernan Crespo, doppio ex della sfida di domenica tra Parma e Milan visti i trascorsi in entrambi i club. Ecco le sue dichiarazioni odierne:
Crespo, si sieda sulla panchina del Parma e disegni la tattica: come affronta i rossoneri? «Mica semplice. Allora, la prima cosa da fare è ritrovare la mentalità da provinciale: da lì si deve partire. Voglio una squadra che stupisca e che giochi sempre ad alta intensità. Il Milan è superiore, ma in una partita può succedere tut to e il contrario di tutto. La mia tattica è semplice: aspetto e colpisco.»
Si mette adesso sulla panchina del Milan. Che cosa dice ai giocatori? «Prima cosa: dimenticare la vittoria sulla La zio. Se pensiamo di esse re diventati fenomeni, «Di Ancelotti rischiamo di prendere gol da chiunque. Seconda cosa: non siamo più il Milan dei vecchi tempi, è vero, ma dobbiamo esse re protagonisti. Sui campi di provincia bisogna vincere. Come? Stando sul pezzo, senza cali di concentrazione. Abbia mo lavorato tanto quest’estate, si tratta di mettere in pratica gli insegnamenti».
Che cos’è Parma per lei? «La mia seconda casa. Questa città mi ha accolto a 21 anni e mi ha fatto crescere. Qui ho deciso di vivere, i tifosi mi hanno eletto giocatore del secolo. Non potrei stare in un posto migliore».
E il Milan che cosa rappresenta? «Il sogno. Quando ero ragazzo, a Buenos Aires, tifavo per il Napoli di Maradona, come tutti gli argentini, ma ammiravo il Milan di Gullit e Van Basten. Sono cresciuto con il mito di Van Basten, lui era il massimo, l’obiettivo a cui tendeva chiunque facesse il centravanti».
Ma il sogno è diventato realtà, stagione 200405. «Sono riuscito a giocare nella squadra che amavo, è vero. Ma soltanto un anno…».
Già, poi Galliani decise di non esercitare il diritto di riscatto e lei tornò al Chelsea. Perché? «Tutta colpa della finale di Champions persa a Istanbul. Ma Galliani con me è sempre stato moto gentile e onesto. Mi ha ripetuto, più di una volta, che aveva sbagliato a non confermarmi. Mi è dispiaciuta, quella decisione, per ché non ho avuto la possibilità di vivere la rivincita di Atene contro il Liverpool nel 2007».
Torniamo a Istanbul 2005: che cosa accadde? «Nulla, il calcio è fatto anche di dolore. Tutto qui. Io faccio una doppietta, alla fine del primo tempo stiamo vincendo 30, siamo carichi come le molle, Ancelotti ci dice che stiamo giocando alla grande, torniamo in campo e… si spegne la luce per sei minuti. Sei maledetti minuti! Ma lo sa che quella partita, quei gol, i miei gol, li ho rivisti soltanto due mesi fa? Prima non ne avevo la forza, mi faceva ancora male».
E ad Atene, due anni dopo, lei non c’era. «No, però è accaduta una cosa bellissima. Subito dopo la vittoria ho ricevuto sul cellulare alcuni sms dai miei ex compagni del Milan. Nesta, Pirlo, Gattuso, Brocchi, lo stesso Ancelotti… Mi scrivevano che quella coppa, quella che avevano appena conquistato ad Atene, era anche un po’ mia. E pensare che allora giocavo nell’Inter… Sono testimonianze e ricordi che non si cancellano».
Qualche mese fa sembrava che il ritorno al Milan fosse cosa fatta. Stavolta da viceallenatore. Conferma? «Eravamo d’accordo. Nello staff di Seedorf dovevamo esserci io e Jaap Stam. Poi è successo quello che tutti sapete, Clarence mi ha telefonato e mi ha detto che era saltato tutto. Pazienza. Agli imprevisti sono abituato: l’anno prima dovevo andare al Real Madrid con Ance lotti e poi mi sono ritrovato a fare il commentatore televisivo…».
Che allenatore è Inzaghi? Lei lo conosce bene…«Abbiamo fatto il Supercorso a Coverciano assieme. Lui è uno che non molla mai. Come quando giocava: lo vedevi e non ti impressionava per le grandi qualità tecniche, però quando c’era da buttarla dentro lo trovavi sempre al posto giusto. Da allenatore è uguale. Meticoloso, preciso, concreto. Con la Primavera ha lavorato molto bene».
E Crespo, alla sua prima esperienza in panchina, come si trova? «Benissimo. Sono “caliente”, non voglio perdere, cerco di trasmettere la mia mentalità. Dico sempre: ci sarà qualcuno più bravo di me, ne sono certo, ma per dimostrarlo deve fare cose da fenomeno… Altrimenti vinco io».
Modelli? «Osservo tutti, studio, poi faccio una sintesi.Vorrei essere un po’ Ancelotti, un po’ Mourinho, un po’ Bielsa».
Da Ancelotti che cosa prenderebbe? «La tranquillità, l’umanità e la capacità di es sere sempre in sintonia con i giocatori». Da Mourinho? «La metodologia d’allenamento. È sempre all’avanguardia. E poi Mou sa come entrare nella testa dei ragazzi, è uno psicologo».
Di Bielsa che cosa vorrebbe avere? «Lui sa migliorare le qualità dei giocatori. Se uno è al 70 per cento, stai certo che con lui arriva al 110. È magnifico in questo».
Un Crespo, nel calcio di oggi, lo vede? «Non si possono paragonare giocatori di epoche diverse. È ingiusto. Quando andavo in campo io, mi marcavano Cannavaro, Nesta, Maldini, Thuram… Mi sono spiegato? Altri menti cadiamo nell’errore di quelli che voglio no a tutti i costi paragonare Messi a Maradona. Non scherziamo: Messi è straordinario, ma Maradona non si può descrivere a parole…».
Ora lei allena i giovani, che in Italia non sono molto valorizzati. Come vive questa esperienza? «I giovani bravi ci sono dappertutto. Quello che manca, oggi, è la cultura del lavoro. I giovani pensano più ai privilegi che agli allena menti, e questo non va bene. Se uno fa una stupidata, io lo sopporto a patto che poi, in campo, quando serve, faccia il fenomeno. Altri menti che cosa me ne faccio? Adesso, invece, i giovani fanno le stupidate, pretendono tutto, ma non hanno ancora dimostrato nulla».
Quindi lei, uno come Cassano, lo sopporterebbe? «A me Cassano fa impazzire. È il calcio, quando si mette in testa di giocare. E l’anno scorso il Parma, grazie a lui, è arrivato in Europa League. Mi sembra di aver detto tutto».
Sopporterebbe anche Balotelli? «Discorso diverso. Il giudizio su Balotelli di pende dalle aspettative che hai su di lui. Se pensi che Mario possa segnare 25 gol a stagione, allora hai sbagliato tutto. Lui non ha mai avuto continuità. Può risolvere una gara con un numero da campione, ma non puoi chieder gli di farlo sempre».
Il Milan punta su Torres. Fa bene? «Tecnicamente è un grande centravanti. Garantisce presenza in area di rigore, è veloce, attacca lo spazio. Considerando il centrocampo del Milan è l’uomo adatto a finalizzare la manovra».
E poi c’è El Shaarawy. Rinascerà? «Me lo auguro. Ci ho giocato assieme quando ero al Genoa. È un ragazzo serio. Le qualità non gli mancano. Ha già conosciuto i momenti duri e si è fatto le ossa. Ora sa che i complimenti e le pacche sulle spalle vanno e vengono. Finora è stato un ottimo giocatore per sei mesi, o poco di più. Lo aspetto per una stagione intera.
Scommetto su di lui».
E sulla rinascita del calcio italiano scommette? «Una volta, diciamo dieci o quindici anni fa, tutti i migliori venivano qui. Ora, invece, Cristiano Ronaldo e Messi non si sognano nemmeno di mettere piede in Italia. Dobbiamo cambiare la mentalità, i talenti ce li dobbiamo crescere in casa. Il nostro compito, oggi, è quel lo di esportare, non di importare. E poi abbia mo il dovere di tutelare la scuola italiana. Se percorreremo questa strada, in quattro anni possiamo farcela. Lo dico da italiano, non da argentino…».
Redazione MilanLive.it