Che gli vuoi dire ad una squadra che esce sconfitta dal Camp Nou, tana del Barcellona plurivincitore degli ultimi anni? Se aggiungiamo poi che stiamo parlando di un’italiana e che da ormai dieci anni nessun club nostrano riesce più a violare quello stadio (l’ultima vittoria fu della Juventus nella stagione 2002-03: dopo di che due vittorie del Barça contro l’Inter, tre con il Milan, una con l’Udinese e soltanto un pareggio con i rossoneri), chiunque inizi a criticare può apparire un folle. Sfugge però un particolare determinante ovvero che stiamo parlando del Milan, non più come club che ambisce alla vittoria in ogni luogo e su ogni avversario bensì di un Milan malato, senza identità e tatticamente allo sbando. Dopo la sconfitta in casa subita ai danni della Fiorentina, ci si aspettava una reazione da parte dei rossoneri. Nessuno ordinava alla truppa di Allegri di andare in Catalogna e di tornare a Milano con i tre punti dando quattro o cinque gol di scarto agli spagnoli. I tifosi si aspettavano soltanto dei progressi, che il Diavolo gettasse le fondamenta per una nuova partenza. Obbiettivo dunque raggiunto? In parte sì, in parte no.
Partiamo dal bicchiere mezzo pieno. I giocatori, criticati a son di fischi dall’intero stadio di San Siro contro i viola, hanno dato tutto quello che potevano dare. La concentrazione è stata massima dall’inizio alla fine e la criticata difesa ha retto bene le incursioni blaugrana. Certo, quando davanti hai il tris d’assi Messi-Neymar-Iniesta e quando l’arbitro Mazic ti fischia contro un rigore generoso sullo 0-0 e convalida un gol in fuorigioco, la strada si complica per ogni squadra. Figuriamoci poi se in campo c’è il Milan di questi ultimi mesi. Alla fine il Barcellona ha vinto 3-1 ma la prova non è stata tutta da buttare. La prima nota positiva arriva da Kakà, giocatore che non si è mai dato per vinto e che ha mostrato alcune accelerazioni vaghe parenti di quelle offerte nei tempi d’oro. La seconda proviene dal tandem De Jong-Montolivo con l’olandese sempre più diga dei rossoneri e con il capitano rinvigorito dalla musichetta europea.
Il fatto è che la squadra in attacco non ha creato niente. Le trame offensive sono state pari allo zero o giù di lì. Le uniche folate sono arrivate nella ripresa quando Allegri ha gettato nella mischia Balotelli. Il 4-5-1 iniziale ha mostrato limiti imbarazzanti per via di molti giocatori fuori ruolo e riadatti in posizioni non consone alle loro abilità. Muntari e Poli sugli esterni non hanno permesso contropiedi mentre Robinho prima punta è stato inghiottito dalla coppia Piquè-Mascherano. Pessima quindi l’idea di lasciare Balotelli in panchina.
La parola d’ordine per la trasferta di Verona contro il Chievo sarà quella di evitare di compiere gli stessi errori tattici e di formazione visti in Champions League. Il Milan ha bisogno di un’identità, non è possibile passare dal 4-3-1-2 al 4-3-3 poi proporre un 4-5-1 e infine buttarsi sul 4-2-3-1 come se si trattasse di scegliere un abito per uscire la sera. Va bene evolversi a provare idee nuove ma queste non devono essere casuali: non c’è più tempo per gli esperimenti e la squadra avrebbe dovuto assimilare un gioco durante la preparazione estiva (a patto che il Milan di Allegri ne abbia mai avuto uno). Ormai è palese: un’era è finita e un’altra deve sorgere. Non importa se ci saranno degli effetti collaterali perchè è sempre meglio voltare pagina finchè si è in tempo. L’importante però è fare in modo che ci possano essere i giusti cambiamenti e ad oggi sembra quasi che il Milan abbia paura di svoltare. Serve coraggio e da questo punto di vista possono essere inquadrate positivamente le dichiarazioni di Barbara Berlusconi relative al “cambio di rotta”. Non si tratta di esonerare Galliani anche perchè sarebbe folle e mai è giusto dare la colpa ad una sola persona. Piuttosto è bene unire l’idea conservativa, che ha fatto la storia del Milan, a quella innovatrice, che sta invece facendo la storia dei nuovi padroni dell’Europa. Un mix che deve essere tentato prima che sia troppo tardi.
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