CALCIO RAZZISMO THURAM / Lunga riflessione sul razzismo nel calcio dall’ex difensore bianconero Thuram: “Neri non si nasce, lo si diventa. Quando qualcuno ti sbatte in faccia uno stereotipo. Giocavo in un club di portoghesi, volevo progredire e passare al Fointanebleau, società più forte. Venni sconsigliato dai miei compagni: quelli sono borghesi, non ti accetteranno. Invece trovai un’atmosfera amichevole. Questo per dire che i pregiudizi nascono ovunque, da cose che non si conoscono, ma che magari si ascoltano in famiglia, in chiesa, tra amici. Bisogna riflettere sul passato per capire l’oggi. Non cambi gli altri se prima non hai cambiato te stesso. Perché c’è un sistema politico che divide in gruppi e ci campa: noi e loro, e loro non sono come noi, ma subalterni. E la stessa discriminazione la soffre la donna. Bisogna educare le nuove generazioni, cambiare il modo di vedere, non esistono per nascita esseri superiori. Ma devi avere voglia di studiare e di conoscere. Negli stadi italiani ci sono degli stupidi, sì. Una minoranza che grida offese. Ma lo stadio è una fetta della società, la riflette, non la crea. Io ho più paura di chi lavora dentro il sistema. Come François Blaquart, dt della nazionale francese, che voleva imporre delle quote etniche, per limitare la presenza di giocatori neri. Chi mostra le banane allo stadio è dannoso, ma non pericoloso. Si rivela per quello che è: gente preistorica, disperata, rimasta indietro. Infastidita e invidiosa che un ragazzo come Balotelli sia giovane, bravo, ricco. E molto forte. Bene ha fatto il Milan a lasciare il campo dopo gli insulti a Boateng. A togliersi la maglia per primo però non dovrebbe essere il giocatore nero, ma i suoi compagni. Loro dovrebbero reagire e dire: signori miei, questi cori ci offendono, non rispecchiano i nostri valori, noi così non giochiamo. Bisogna lottare, non fare finta di niente. A Parma, in una partita contro il Milan, sento cantare “Ibrahim Ba mangia banane sotto casa di Weah”. Dico ai miei compagni: devo andarci a parlare. Lascia perdere, è la risposta. Ma la sera non riesco a dormire, mi manca l’aria, quella frase mi picchia in testa, così vado a discutere con la curva. La domenica successiva i tifosi rispondono con lo striscione “Thuram rispettaci”. Invece di riflettere su quello che avevo detto, si erano sentiti offesi loro. A Torino arriva un giornalista e si presenta: sono il filippino del signore… Ma come ti permetti di identificare un popolo con una mansione? Mia madre ci ha mantenuti facendo la domestica, non si è mai lamentata, e mi ha insegnato che è importante avere un altro sguardo. Forse per questo alla Juve non me ne andavo subito, ma osservavo il gran lavoro che faceva Romeo, il custode. I neri sono stati scienziati, dottori, esploratori, poeti, ricercatori. Ma non ce lo raccontano mai. Hanno inventato tra l’altro il semaforo, l’asciugatrice, la trasfusione di sangue, il floppy disk. Da piccolo volevo fare il prete, ho cambiato idea quando ho saputo che non potevano sposarsi. Ho chiamato il mio primogenito Markus in onore del leader giamaicano Garvey e il mio secondo, Khephren, perché i faraoni avevano la pelle scura. Nel 2008 sono stato al funerale di Aimè Cesar, poeta e politico della Martinica. Scriveva che si può continuare a dipingere di bianco i tronchi degli alberi, ma le radici restano nere. Mi sono avvicinato alla bara e gli ho detto: “Può andarsene in pace, perché ha educato un’intera generazione“.
Fabio Alberti – www.milanlive.it